STORIA MUSEO

Questo museo, come il catalogo che lo riguarda, ha diverse valenze. Innanzitutto c’è l’importanza storica: ogni raccolta ha lo scopo di conservare il ricordo di oggetti e tecnologie del passato. L’esplosivistica è poi una materia relativamente giovane; non dimentichiamo che fin dopo la metà dell’800 l’unico esplosivo usato era la polvere nera, pur nelle sue innumerevoli varianti. Gran parte di ciò che si potrebbe ritrovare prima dell’avvento degli esplosivi moderni si limiterebbe a qualche tubo di lancio per fuochi pirotecnici o a qualche tipo di cannone militare. Ma lo scopo per cui è nato il museo degli esplosivi è un altro. L’importanza della raccolta è mirata a far conoscere tutti gli aspetti dell’esplosivistica civile, senza trascurare quella militare quando utilizzata a fin di bene.
Per meglio comprendere le ragioni di questa collezione è d’aiuto risalire alla mia vicenda personale. Avrò avuto forse dieci anni quando ho visto in televisione, rigorosamente in bianco e nero, il film intitolato «Uomini d’amianto contro l’inferno», libera e orribile traduzione del ben più efficace titolo originale «Hellfighters». Film del 1968, interpretato da John Wayne, racconta abbastanza fedelmente la vita di un personaggio reale, Paul “Red” Adair, il texano dai capelli rossi che dal 1959 si rese famoso per aver ideato un sistema di spegnimento dei pozzi di idrocarburi in fiamme mediante l’uso di esplosivi. Già all’epoca il suo onorario era di un milione di dollari, o un assegno in bianco.
Rivisto oggi il film mostra tutti i lati di una debolissima regia, ma all’epoca restai abbagliato dal fatto che si potessero usare gli esplosivi per scopi non bellici. Non conoscevo ancora, a quell’età, le applicazioni dell’esplosivistica in campo minerario, ossia per scavare gallerie e coltivare miniere cave. Fatto sta che, grazie al film, restai “folgorato sulla via di Damasco” dagli esplosivi usati a fin di bene. In quegli anni inoltre, in televisione, sull’unico canale Rai, al pomeriggio c’era «La tv dei ragazzi», che un giorno alla settimana ospitava il programma «Avventura», presentato da un Mino D’Amato dotato di una folta chioma riccia più consona a un nero di Harlem. Era un programma rivoluzionario, per dinamica e contenuti. Ricordo la sigla iniziale di Joe Cocker (She came in through the bathroom window), che richiamava me e mio fratello come il suono del flauto del Pifferaio di Hamelin attirava i topi. La sigla finale dei Procol Harum (A salty dog), metteva tristezza perché malinconicamente segnalava la fine del viaggio con la fantasia per lasciare spazio ai compiti a casa per il giorno dopo, ma al tempo stesso ci condizionava ad attendere, trepidanti, la puntata successiva. Un giorno, uno dei servizi trasmessi parlava delle demolizioni dei grattacieli americani con la dinamite. Seconda folgorazione per me. Ultima spinta, il regalo del “piccolo chimico” da parte dei miei genitori. Dopo aver trascorso qualche mese ad annoiarmi con le reazioni domestiche possibili coi prodotti a disposizione nella scatola, cominciai a grattare la muffa dai muri della cantina (salnitro), a bruciare fiammiferi di legno per fare carbone e a sottrarre cristalli di zolfo dalla mia allora iniziale collezione di minerali, per macinarli. Le prime miscele di polvere nera le testavo sul balcone. Poi iniziai a rincarare la dose comprando il nitrato di potassio in farmacia. Alle richieste di spiegazioni del farmacista rispondevo che serviva alla mamma per concimare le piante. Con dosi più massicce di polvere andavo in campagna a sperimentare le mie “bombette”. Quando, grazie a un cugino più vecchio di me, ho scoperto l’esistenza di una scuola che, oltre a insegnare a distinguere i minerali, preparava all’uso degli esplosivi, i miei dubbi svanirono. Attesi con impazienza la fine delle scuole medie e i primi due anni di Itis, poi mi fiondai a specializzarmi in mezzo alle Dolomiti, ad Agordo (BL), dove esisteva, e tutt’ora esiste, la scuola più antica d’Italia: il mitico Istituto “Follador”. Così ho iniziato il mio percorso di studi, mirato all’utilizzo degli esplosivi per scopi civili. Un percorso che, come per tutte le passioni, non finisce mai: ogni giorno si scoprono nuove applicazioni degli esplosivi, a ogni scoperta si aprono nuovi orizzonti di ricerca. Il fascino di sostanze che in piccole quantità possono sviluppare energie pazzesche attanaglia tutti i maschietti della terra, come dimostrano le gargantuesche vendite di petardi di tutte le dimensioni. Pochi però riescono a immaginare le applicazioni pratiche degli esplosivi in campo civile. Tanto per citarne una: l’airbag non è che una capsula esplosiva delle dimensioni di un petardo. Quale altra cosa potrebbe essere così rapida nel dare l’energia sufficiente ad attivare un dispositivo di sicurezza, se non una carica esplosiva? Risposta: nessuna. E’ per questo che l’esplosivo, malgrado la grande disinformazione operata da tanti, resta e resterà sempre insostituibile per una grande quantità di impieghi. Altro esempio: fino al 1998 circa esistevano dispositivi chiamati “petardi ferroviari”. Venivano appoggiati dal capostazione sui binari quando la nebbia poteva costituire un ostacolo o un pericolo per i convogli. Quando il locomotore schiacciava con le sue ruote questi artifizi, il macchinista percepiva una piccola esplosione in mezzo allo sferragliare della vettura. Una cadenza specifica e prestabilita di microesplosioni guidava il conducente nel comportamento da tenere. Con l’avvento dell’elettronica e dei telefoni cellulari, il sistema “esplosivo” è andato in disuso, dopo un secolo di onorata attività; da allora, in Italia, abbiamo avuto due disastri ferroviari dovuti all’avaria dell’elettronica. Morale: non sempre i sostituti degli esplosivi funzionano meglio. Airbag e petardi ferroviari non mancheranno quindi nelle illustrazioni di questo testo. Questi e tutti gli altri oggetti possono raccontare storia e tecnologia, servire come esempi di “grafica” (come le scatole di polveri da caccia e da mina), insegnare un’importante fetta di storia del design, come gli oggetti della Germania nazista che, al di là degli aspetti politici, dimostrò insieme all’Italia fascista di essere cinquant’anni avanti in tecnologie e creatività rispetto al resto del mondo.
Ci sono oggetti che dimostrano come le applicazioni militari possano essere utilizzate in campo civile, per esempio i razzi antigrandine o le cariche cave usate nei pozzi petroliferi. A proposito: un luogo comune, dovuto alle strumentalizzazioni politiche, lascia credere che Alfred Nobel, inventore della dinamite, abbia costituito il patrimonio che finanzia il premio Nobel per lavarsi la coscienza dopo aver creato uno strumento di distruzione e morte. Consiglio la lettura della scheda su questo personaggio, dove si vedrà che le sue attenzioni si sono rivolte da subito alle applicazioni civili, come i trafori del Frejus e del S.Gottardo, ad esempio. Nella stessa scheda è spiegata la vera ragione della sua iniziativa filantropica.
Alfred Nobel ha aperto la strada all’esplosivistica civile, grazie all’invenzione del piemontese Ascanio Sobrero, che vent’anni prima aveva inventato la nitroglicerina; Sobrero era chimico e medico e la nitroglicerina è usata tutt’oggi come farmaco per i cardiopatici.
Questo viaggio nell’esplosivistica parte da lontano, dai grandi nomi, ma prosegue con una mia esperienza umile ma per me importante: nel 1988 mi sono recato in una miniera di carbone fra le più grandi d’Europa, in Germania e più esattamente nella Rhur, vicino a Dortmund, per studiare i sistemi di consolidamento delle volte nelle gallerie. La prima foto che troverete è perciò dedicata alla dura vita dei minatori nelle miniere di carbone, simboleggiata da una camicia.
Numerato sulla schiena con pennellino e smalto come accadeva per i carcerati, l’indumento era corredato da giacca, pantaloni, canottiera, mutande, calze e fazzoletto per il collo: al termine di una giornata di lavoro tutto era nero, compresa la pelle sotto gli abiti. Per ripulirsi occorreva strofinarsi per circa un’ora con una spazzola da cavalli; dopo solo un giorno in miniera, occhi, naso e orecchie continuavano a spurgare fuliggine per una settimana. Gli occhi sembravano trattati con il mascara. Il mio è un omaggio quindi anche a tutti i minatori, di ogni epoca e luogo.
Mi auguro che questo museo, insieme al suo catalogo, possa servire a diffondere la cultura dell’esplosivo “buono”, perché cadano tanti luoghi comuni errati e con essi la totale diffidenza di tante istituzioni preposte al controllo delle attività esplosivistiche. Il testo inoltre è pensato per fare da guida al visitatore del museo, o per chi, per mancanza di tempo o troppa distanza, lo voglia visitare da casa propria. Chi viene al museo non necessariamente conoscerà tutti gli aneddoti e le curiosità contenuti nel catalogo, così come chi lo consulterà non apprezzerà certo appieno le peculiarità del museo. Quindi, un consiglio: acquistate la guida e visitate il museo.

Danilo Coppe